Esistono davvero lauree per uomini e lauree per donne?
Non è un’università per… donne? Uomini? Completare con uno dei due nomi dopo aver aggiunto il complemento di specificazione dopo “università”.
Non ci vuole neanche troppa immaginazione per ipotizzare quali lauree si tingono di rosa e quali di blu. Non è neanche significativo fare una distinzione tra università tradizionali e telematiche come Unicusano. La situazione non cambia. Sono le discipline STEM (dall’inglese Science, Technology, Engineering, Mathematics) ad annoverare tra i loro dottori soprattutto uomini. I dati rilevati da AlmaLaurea e Eurostat ce lo confermano: gli uomini che conseguono una laurea triennale o magistrale facoltà scientifiche sono molto più numerosi delle donne. Nel 2018, si parla di 26.202 ragazzi contro 16.848 ragazze per la triennale e di 43.825 ragazzi contro 28.304 per la magistrale. Un divario quasi determinante anche se lo scenario si mostra comunque migliore rispetto a 15 anni fa quando si parlava di sole 3.398 dottoresse in discipline STEM.
Un’altra facoltà che oggi sembra accogliere un numero più grande di ragazzi piuttosto che di ragazze è economia. Ma non è stato sempre così. Prima, la laurea magistrale in economia o quella triennale, accoglievano più donne che uomini. La tendenza sembra essersi ormai invertita.
Gli atenei dove le donne fanno da padrone, invece, sono (sorpresa, sorpresa!) lettere, filosofia, scienze politiche, lettere e giurisprudenza. In realtà, il contingente maschile presente in queste università non è affatto scarno, anzi tende a crescere di anno in anno anche se il settore dell’insegnamento in Italia è quello femminile per antonomasia.
Infine, l’area sanitaria appende un fiocco rosa fuori dai suoi cancelli. Sembra, infatti, che il 68% dei laureati in questo ambito sia donna. Non è una percentuale molto netta, ma comunque interessante.
Come avevamo già anticipato, questo panorama che abbiamo disegnato velocemente riguardante la diversità di genere nelle varie università ci è familiare e prevedibile. La domanda che viene spontanea è: perché? Perché esiste questa differenza? È di natura biologica? Ci sono studi che dimostrano che una donna sia più portata per le materie umanistiche e meno per quelle scientifiche o viceversa per un uomo?
In realtà, la risposta sta tutta nella tradizione sociale e culturale del nostro paese (in alcuni casi non solo, visto che un quadro simile si ha anche in Europa, anche se con delle differenze alle volte meno marcate). Dal punto di vista lavorativo, si punta di più sull’uomo, figura più “tradizionale” e che non va in “maternità”. Ancora una volta, lo confermano i dati: il 92,5% degli uomini laureati in discipline STEM è impiegato a cinque anni dal titolo, mentre per le donne si parla dell’85%. Per quanto riguarda i contratti a tempo indeterminato, vengono fatti al 62,5% degli uomini e solo al 45,1% delle donne.
Non si tratta di maggiori o minori competenze (sempre i dati, rivelano che le donne laureate in discipline STEM hanno voti più alti e conseguono il titolo prima degli uomini), né di predisposizioni biologiche, solo di abitudine. Ce lo conferma anche la nostra lingua. In Italia, parole come “ingegnera”, “architetta”, “ministra” risultano strane e persino scorrette alle orecchie della maggior parte della popolazione (senza distinzione di genere). In realtà, non siamo ancora abituati (purtroppo) a vedere delle figure femminili ricoprire questi ruoli perché secoli di storia ci raccontano di donne le cui uniche occupazioni erano le faccende domestiche e l’educazione dei figli e delle figlie.
L’unico modo per invertire la rotta è cambiare le abitudini. È difficile, ma… al bando la pigrizia!